IN ASCOLTO DELLA PAROLA DI DIO
La lectio divina esprime la realtà della Chiesa come creatura Verbi: questa si fonda sulla Parola di Dio, nasce convocata dalla Parola e vive in essa. Nella Parola la Chiesa trova “l’annuncio della sua identità, la grazia della sua conversione, il mandato della sua missione, la fonte della sua profezia, la ragione della sua speranza” (Sinodo 2008, Instrumentum Laboris, 12).
La lectio divina ha chiare radici bibliche e un lungo esercizio monastico. Oggi si intende come “lettura credente” – sosta riflessiva e ascolto orante, da soli o in gruppo – di un passo della Bibbia, accolta come Parola di Dio. Con la guida dello Spirito Santo, nell’esperienza di meditazione e silenzio, di contemplazione e condivisione, la Parola diventa sorgente di grazia, dialogo orante, appello alla conversione, proposta profetica e orizzonte di speranza. Non è quindi puro studio tecnico, ma ascolto obbediente e risposta appassionata.
Nella liturgia cristiana, la lectio Divina è un modo tradizionale di pregare la Bibbia. Durante la lectio divina, cioè "lettura della volontà di Dio", il credente legge le Scritture nella convinzione che Dio voglia istruirlo attraverso di esse.
È un modo di pregare che il credente può attuare anche nel quotidiano, e si suddivide in lettura del passo (lectio), riflessione su di esso (meditatio), preghiera (oratio), contemplazione estetica (contemplatio) e comprensione di ciò che "è bello" (consolatio), "bene" (discretio) e "giusto" (deliberatio).
mercoledì 21 -28 febbraio e mercoledì 6 - 13 - 20 marzo, don Giuseppe Colaci riprende gli incontri di Lectio Divina.
Orario: 21,00
Tema: il Vangelo di Giovanni
Lectio Divina:
domenica, 28 luglio, 2024
Domenica XVII del Tempo Ordinario
Mangiare e condividere il pane della vita
Giovanni 6, 1-15
1. Invochiamo lo Spirito santo
Padre nostro che sei nei cieli e ci hai consegnato il tuo Figlio prediletto, manda a noi il tuo Spirito, perché possiamo mangiare e gustare ciò che tu ci doni. Dacci oggi il pane quotidiano del corpo e dello spirito e fa' che esso susciti in noi la fame e la sete di te, della tua Parola e del tuo banchetto, dove ci sazierai della tua presenza, del tuo amore e della tua salom, nella gioia della comunione con i fratelli che tu ci doni oggi, perché condividiamo con loro il pane materiale e spirituale. Amen.
2. Lettura
a) Le premesse e la chiave di lettura biblica e liturgica:
• Il nostro brano ha una singolare particolarità: narra l'unico episodio "inflazionato" nei vangeli. Infatti, nel totale, è raccontato per sei volte (una volta Luca e Giovanni, due volte ciascuno Marco e Matteo) . Al di là della valutazione storico - critica di questa insolita frequenza, è evidente che la tradizione cristiana primitiva ha dato a quest'episodio un grande risalto.
• I rapporti letterari con gli altri racconti evangelici sono molto discussi, ma attualmente non si può stabilire definitivamente se ci siano e quali siano i rapporti diretti e indiretti fra i diversi racconti evangelici. Il parallelo più vicino a Giovanni sembra essere, qui, il primo testo di Marco (6, 30-54), ma Giovanni avrebbe comunque attinto a una fonte autonoma, che ha rielaborata in modo che fosse in stretta relazione con il discorso seguente.
• Come avviene di solito nel quarto vangelo, al "segno", che in questo caso è un miracolo, è strettamente abbinato un discorso di grande importanza teologica. In questo caso, il discorso che segue copre quasi per intero il lungo capitolo sesto: è il discorso sul "pane della vita" (6, 26-59), la grande fonte di riflessione teologica sul sacramento dell'Eucaristia.
• In tutto il testo, vi sono vari richiami a gesti, parole e idee caratteristici della liturgia cristiana, per cui sembra essere molto stretto il legame di questo brano con la tradizione liturgica della celebrazione eucaristica, soprattutto alla luce del fatto che il vangelo di Giovanni non riferisce l'istituzione dell'Eucaristia.
• Nel ciclo liturgico di quest'anno, basato sul vangelo di Marco, s'inserisce qui una serie di vangeli domenicali tratti da Giovanni. L'inserzione avviene proprio nel punto in cui si sarebbe dovuta leggere la moltiplicazione dei pani. La scelta della prima lettura è un classico esempio di illuminazione reciproca fra i Testamenti: si tratta di una moltiplicazione di pani operata dal profeta Eliseo (2Re 4, 42-44). Il parallelo fra i miracoli illumina anche l'aspetto profetico della persona di Gesù. A sua volta, la seconda lettura (Ef 4, 1-6) sottolinea uno degli aspetti della vita eucaristica della Chiesa: la comunione che si costruisce attorno a Cristo e si alimenta dell' unico pane eucaristico.
• I temi maggiori di questo brano, sono quelli che riguardano la simbologia del pane e della condivisione del pasto, anche in prospettiva escatologica. Altri motivi importanti presenti nel testo sono quelli della fede in Gesù e del suo modo di interpretare il messianismo, qui mostrato attraverso la filigrana della figura veterotestamentaria di Mosè.
b) Il testo:
1 Dopo questi fatti, Gesù andò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberiade, 2 e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi. 3 Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli. 4 Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. 5 Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: "Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?". 6 Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare. 7 Gli rispose Filippo: "Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo". 8 Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: 9 "C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?". 10 Rispose Gesù: "Fateli sedere". C'era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini. 11 Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero. 12 E quando furono saziati, disse ai discepoli: "Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto". 13 Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. 14 Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: "Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!". 15 Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo.
c) Suddivisione del testo, per comprenderlo meglio:
vv. 1-4: Introduzione temporale, geografica e liturgica.
vv. 5-10: Il dialogo preparatorio fra Gesù e i discepoli.
vv. 11-13: Il pasto "moltiplicato" e sovrabbondante.
vv. 14-15: Le reazioni di Gesù e della gente.
3. Uno spazio di silenzio interno ed esterno
per lasciare che la Parola di Dio ci impregni il cuore e la mente.
• Siamo in primavera, la Pasqua è vicina. L'aria è ancora fresca e questo rende più facile seguire e ascoltare l'ormai famoso, anche se discusso, rabbi di Nazaret.
• Mentre leggo e rileggo, anch'io lo sento parlare, ma ancora una volta fa discorsi "strani": com'è possibile far mangiare questa gran folla di gente che ci circonda dappertutto?
• Pochi pani, pochissimi pesci … ma non possiamo temere di perderli, mentre accettiamo di dividerli. Ecco, crescono man mano che li distribuiamo!
•
• Raccogliamo tutto, alla fine: è una gran fatica, ma il pane è sempre prezioso, in ogni luogo, in ogni tempo, soprattutto questo pane.
• Riprendo il cammino con Lui, senza soste, col cuore più leggero e felice per le grandi cose che ho visto oggi, ma anche con qualche domanda in più. Continuo a guardarlo e ascoltarlo, a lasciarmi riecheggiare dentro i suoi gesti, le espressioni del suo volto e della sua voce, le sue parole.
4. La Parola che ci è donata
• Il "libro dei segni" del quarto vangelo: Il nostro brano si colloca nella parte del vangelo chiamata "libro dei segni" (da 1, 19 a 12, 50) , nella quale sono descritti e commentati i sette grandi "segni" di autorivelazione (semeion, miracolo o azione simbolica) compiuti da Gesù in questo vangelo. Discorsi e "segni" sono strettamente correlati: si spiegano i "segni" con i discorsi teologici e nei "segni" si presentano plasticamente i contenuti dei discorsi, in un progressivo approfondimento della rivelazione divina e nel conseguente crescere dell'ostilità verso Gesù.
• Il capitolo 6 di Giovanni: Alcuni, per cercare di chiarificare la sistemazione dei particolari cronologici e geografici del capitolo 6, propongono di invertirne la posizione con il capitolo 5, ma ciò, comunque, non risolverebbe tutti i problemi. Meglio, dunque, rispettare e tenere ciò che la tradizione ci ha consegnato, pur avendo ben presenti le problematiche storico - redazionali, per non "accentuare indebitamente qualcosa che non sembra sia stato di grande importanza per l'evangelista" (R. Brown).
• Gesù andò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberiade: Il lago viene identificato con una doppia denominazione; la prima è quella tradizionale, la seconda è adottata solo da Giovanni nel Nuovo Testamento (anche in 21, 1) , forse perché è emersa solo recentemente rispetto alla vita di Gesù e, quindi, è divenuta di uso comune nel periodo successivo alla sua morte e si è diffusa soprattutto in ambito ellenistico.
• Una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi: In precedenza (2, 23-25) ritroviamo una situazione simile, nella quale molti credono in Gesù poiché avevano visto i "segni" che egli compiva. In entrambe le situazioni, Gesù mostra chiaramente di disapprovare tale motivazione (2, 24-25; 6, 5. 26). I "segni" sugli infermi, cioè le guarigioni, che Gesù avrebbe compiuti in Galilea non sono narrati da Giovanni, a eccezione della guarigione del figlio del funzionario regio (4, 46-54). Lo stesso evangelista, tuttavia, lascia intendere, con queste parole, di non aver narrato tutti gli avvenimenti e di aver compiuto una scelta fra le molte cose che avrebbe potuto consegnare ai lettori (cfr anche 21, 25).
• Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli: Non c'è modo di individuare quale sia questo monte. Gesù che, come Mosè, si siede attorniato dai suoi discepoli, è un tema che ritorna anche negli altri vangeli (cfr Mc 4, 1; Mt 5, 1; Lc 4, 20) . Il gesto di sedersi per insegnare era normale per i rabbini, ma Giovanni - al contrario di Mc 6,34 - non accenna al fatto che Gesù abbia insegnato in questa circostanza.
• Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei: Nel quarto vangelo si fa riferimento a tre celebrazioni della Pasqua di Gesù, durante la vita pubblica. Questa sarebbe la seconda (la prima: 2, 13; la terza: 11, 55) e dà l'ambiente religioso e teologico di tutto quanto viene detto e fatto nel capitolo 6: il "pane donato" da Dio come la manna, la salita sul monte di Gesù come Mosè, il passaggio del mare come fu durante l'esodo (nell'episodio seguente: 6, 16-21), il discorso centrato sul tema del pane che viene da Dio. A proposito del rapporto fra la manna donata a Israele nel deserto e
• la moltiplicazione dei pani, si registrano, inoltre, vari paralleli e richiami con Numeri 11 (vv. 1. 7-9. 13. 22). Alcuni gesti di Gesù (a es. lo spezzare e dare il pane), come i molti dei temi teologici che toccherà nel discorso seguente, sono degli evidenti riferimenti ai gesti della liturgia del seder di Pasqua e alle letture della liturgia sinagogale della festa. La Pasqua, poi, è una festa primaverile e, infatti, Giovanni annota che vi "era molta erba in quel luogo" (6, 10; cfr Mt 14, 19 e Mc 6,39).
• Gesù vide che una grande folla veniva da lui: In precedenza, all'inizio del racconto, sembrava che la gente lo seguisse da prima, mentre qui Giovanni sembra dire che la folla sta arrivando. Forse vi è qui un richiamo a uno dei temi teologici preferiti da Giovanni e molto sottolineati in questo capitolo: il venire a Gesù, espressione sinonima dell'adesione totale alla fede (3, 21; 5, 40; 6, 35. 37. 45; 7, 37 e altri).
• Disse a Filippo… Andrea, fratello di Simon Pietro: Sono due dei Dodici che in questo vangelo sembrano avere un ruolo particolare (cfr 1, 44 e 12, 21-22), mentre negli altri vangeli restano in ombra. Pare che fossero particolarmente venerati in Asia minore, luogo in cui ha avuto origine il vangelo di Giovanni.
• "Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?": La domanda a Filippo, forse si giustifica col fatto che egli proveniva da quella zona geografica. Se interpretiamo questa domanda alla luce di quelle simili presenti nell'intero vangelo (1, 48; 2, 9; 4, 11; 7, 27-28; 8, 14; 9, 29-30; 19, 9), ne scopriamo la valenza cristologica: chiedere da dove proviene il dono, vuol dire cercare di comprendere anche l'origine del donatore che, in questo caso, è Gesù; dunque la domanda conduce alla ricerca dell'origine divina di Gesù.
• Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare: Il "mettere alla prova" le reazioni del discepolo è indicato con un verbo (peirazein) che ha di solito un significato negativo, di tentazione, verifica o inganno. Il ruolo di questa frase, però, è di mettere al riparo il lettore dal dubbio che la domanda precedente di Gesù sia interpretata come espressione di ignoranza.
• "Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un piccolo pezzo": La cifra equivale al salario di duecento giorni di lavoro di un operaio (cfr Mt 20, 13; 22, 2). Marco (6, 37) si esprime in modo da far pensare che una tal quantità di pane sarebbe stata sufficiente alla necessità, ma Giovanni vuol sottolineare la grandiosità dell'opera divina e la sproporzione delle risorse umane. Allo stesso fine rispondono le parole di Andrea che seguono: "… ma che cos'è questo per tanta gente?"
• "C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesciolini secchi": Il ragazzo, a giudicare dalla parola doppiamente diminutiva usata nel testo greco (paidarion) è proprio un "ragazzetto": una persona senza alcuna importanza sociale. Lo stesso termine è usato in 2Re (4, 12. 14.25; 5, 20) per il servo di Eliseo, Giezi. Il pane d'orzo, al contrario di quello fatto col frumento, era un cibo particolarmente semplice e a buon mercato, usato dai poveri. Sembrerebbe (cfr Lc 11, 5) che il pasto adatto a una persona fosse costituito da tre pani. I pesci secchi (opsarion, di nuovo indicati con un doppio diminutivo) erano il cibo comune da consumare con il pane.
• "Fateli sedere"… erano circa cinquemila uomini: In realtà, secondo l'uso del tempo, Gesù comanda di "farli adagiare" o "distendere": il pasto dev'essere consumato in tutta comodità, proprio com'è prescritto per il pasto rituale della Pasqua e com'è d'obbligo nei banchetti. Tutti i racconti evangelici di quest'episodio riferiscono solo il numero degli uomini presenti.
• Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì … e lo stesso fece dei pesci: Questi gesti e parole di Gesù sono molto vicini a quelli del rito eucaristico, anche se non si può dire che l'uno derivi dall'altro. "Rese grazie" traduce qui eucharistein, che era comunemente usato in modo distinto da eulogein, benedire, che è il verbo usato dai vangeli sinottici i questo luogo; il primo verbo è caratteristico dell'ambiente di lingua greca, il secondo direttamente proveniente dagli ambienti di cultura ebraica. Se consideriamo il linguaggio in uso all'epoca in cui i vangeli furono redatti, non possiamo dire che fra le due espressioni evangeliche vi sia una notevole differenza di contenuti, anche se il richiamo di Giovanni ai sacramento eucaristico risulta molto più diretto per noi, abituati al linguaggio liturgico cristiano. Tant'è vero che il quarto evangelista utilizza lo stesso verbo anche in 11, 41, dove non troviamo alcun richiamo al sacramento. Come il presidente della tavola rituale pasquale, Gesù spezza di persona il pane e lo distribuisce direttamente alla gente. Allo stesso modo farà nell'ultima cena. Con tutta probabilità, però, i fatti sono andati come raccontano i vangeli sinottici: Gesù diede il pane spezzato ai discepoli perché lo distribuissero, la folla infatti era davvero troppo grande perché Egli potesse fare tutto da solo. Giovanni vuole dunque concentrare tutta l'attenzione dei suoi lettori sulla persona di Gesù, vero e unico donatore del "pane del cielo". Osserviamo bene l'andamento dei fatti: la moltiplicazione avviene solo dopo la divisione e la divisione del pane avviene solo dopo che un "piccolo" mette arditamente a disposizione di tutti le sue risorse irrisorie. Quei poveri, piccoli pani si moltiplicano man mano che si dividono! Gesù moltiplica ciò che noi accettiamo, un po' alla cieca, di dividere con Lui e con gli altri.
• Finché ne vollero … furono saziati: E' l'abbondanza promessa dai profeti per il tempo della šalom e per il festoso banchetto escatologico (cfr, a es. Is 25, 6; 30, 23; 49, 9; 56, 7-9; Os 11, 4; Sl 37, 19; 81, 17; 132, 15) . Dunque, non sbaglia la folla, quando afferma che Gesù "è davvero il profeta che deve venire nel mondo": profeta che realizza la promessa divina dell'invio di un profeta "uguale a Mosè" (Dt 18, 15-18) e che inaugura i tempi messianici imbandendo un banchetto gratuito e abbondante, come promesso dai profeti antichi.
• "Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto": Entrano in scena i discepoli, con il compito di fare in modo che non si sprechi questo prezioso pane. Infatti, anche questo è un "pane che perisce" e non può reggere il confronto con il vero "pane del cielo" (cfr 6, 24). Il comando di raccogliere (synagein) gli avanzi rimanda a quanto prescritto riguardo la manna (cfr Es 16, 16 ss.).
• * Riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati: Non si può stabilire con certezza se il numero dei canestri sia un voluto richiamo al numero dei discepoli. Di sicuro, la frase vuol sottolineare di nuovo la grande abbondanza di cibo venuta da quei piccoli pani d'orzo benedetti da Gesù. Giovanni sembra fare ben poca attenzione ai due pesciolini che erano stati offerti con i pani, forse perché il discorso che segue è tutto incentrato solo sul pane.
• Visto il segno: La motivazione che Giovanni ci riferisce per il miracolo appena compiuto non è la compassione per le folle; essa sarebbe stata ben compresa dai discepoli presenti che, invece, secondo Marco (6, 52 e 8, 14-21), non compresero il significato dell'avvenimento. Il quarto vangelo, quindi, mette in evidenza il significato di "segno" del miracolo.
• Stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo: Contrariamente agli altri evangelisti, Giovanni riferisce il motivo dell'improvvisa scomparsa di Gesù dopo il miracolo: voleva evitare che il suo ruolo di Messia fosse "inquinato" da manifestazioni politiche da parte della folla. Gesù conferma ancora una volta le sue scelte (cfr Mt 4, 1-10), che ribadirà fino alla fine, dinanzi a Pilato (19, 33-37
• 5. Alcune domande
per orientare la riflessione e l’attuazione.
a) Il pane viene moltiplicato perché qualcuno "molto piccolo" trova il coraggio di rinunciare ad aggrapparsi alle proprie sicurezze (anche se sono infime, ci sono: un po' come le "cipolle d' Egitto") per rischiare un fallimento o una brutta figura. Il "ragazzetto" del racconto evangelico si fida di Gesù, anche se questi non aveva promesso nulla, in questo frangente. Io, noi faremmo la stessa cosa?
b) Il ragazzo è una persona insignificante, i pani sono pochi e i pesci ancora meno. Passando dalle mani di Gesù, tutto diventa grande e bello. C'è una grande sproporzione fra ciò che noi siamo e ciò che Dio ci fa diventare, se ci mettiamo a sua disposizione. "Nulla è impossibile a Dio": né convertire i cuori più duri, né trasformare il male in strumento del bene … Dio colma ogni sproporzione fra noi e lui. Ci credo davvero, fino in fondo, anche quando tutto lo contraddice?
c) Il pane materiale che viene donato da Dio ci rimanda a quello che dovremmo condividere con i troppi uomini e donne che, sulla stessa terra che noi abitiamo e di cui sciupiamo spensieratamente le risorse, lottano disperatamente per un tozzo di pane. Quando preghiamo "dacci il nostro pane quotidiano" rivolgiamo almeno un pensiero a coloro che di questo pane mancano e a come potremmo andare loro incontro?
d) La fame fisica e il pane materiale ci rimandano anche alla "fame di Dio" e al banchetto escatologico. Sono realtà che spesso allontaniamo dal nostro pensiero, che preferiamo pensare lontane e distanti da noi. Eppure, tenerle sempre presenti ci aiuterebbe a relativizzare tante realtà e altrettanti problemi che ci sembrano troppo più grandi di noi, a vivere più serenamente preoccupandoci solo di ciò che è davvero essenziale. Quando, durante la celebrazione eucaristica acclamiamo "… nell'attesa della tua venuta" siamo davvero in attesa fervente del ritorno glorioso di Colui che ci ama e si d'ora provvede a noi?
6. Preghiamo (Salmo 147)
Lodando Dio con un inno dal sapore pasquale a Colui che provvede il cibo e ogni forma di sussistenza ai "piccoli" del suo popolo e a ogni essere vivente.
Lodate il Signore: è bello cantare al nostro Dio, dolce è lodarlo come a lui conviene. Il Signore ricostruisce Gerusalemme, raduna i dispersi d'Israele. Risana i cuori affranti e fascia le loro ferite; egli conta il numero delle stelle e chiama ciascuna per nome. Grande è il Signore, onnipotente, la sua sapienza non ha confini. Il Signore sostiene gli umili ma abbassa fino a terra gli empi. Cantate al Signore un canto di grazie, intonate sulla cetra inni al nostro Dio. Egli copre il cielo di nubi, prepara la pioggia per la terra, fa germogliare l'erba sui monti. Provvede il cibo al bestiame, ai piccoli del corvo che gridano a lui. Non fa conto del vigore del cavallo, non apprezza l'agile corsa dell'uomo. Il Signore si compiace di chi lo teme, di chi spera nella sua grazia.
7. Orazione Finale
La Chiesa, sin dai suoi primi passi, ha celebrato l'Eucaristia quale cena pasquale del Signore in cui riecheggia l'evento della moltiplicazione dei pani. La nostra preghiera finale, perciò, oggi beneficia dell'eredità dai Cristiani del primo secolo: Ti rendiamo grazie, Padre nostro, per la vita e la conoscenza che ci hai rivelato per mezzo di Gesù tuo servo. A te gloria nei secoli. Nel modo in cui questo pane spezzato era sparso qua e là sopra i colli e raccolto divenne una sola cosa, così si raccolga la tua Chiesa nel tuo regno dai confini della terra; perché tua è la gloria e la potenza, per Gesù Cristo nei secoli. Ti rendiamo grazie, Padre santo, per il tuo santo nome che hai fatto abitare nei nostri cuori, e per la conoscenza, la fede e l'immortalità che ci hai rivelato per mezzo di Gesù, tuo servo. A te gloria nei secoli. Tu, Signore onnipotente, hai creato ogni cosa a gloria del tuo nome; hai dato agli uomini cibo e bevanda a loro conforto, affinché ti rendano grazie; ma a noi hai donato un cibo e una bevanda spirituali e la vita eterna per mezzo del tuo servo. Soprattutto ti rendiamo grazie perché sei potente. A te gloria nei secoli. Ricordati, Signore, della tua Chiesa, di preservarla da ogni male e di renderla perfetta nel tuo amore; santificata, raccoglila dai quattro venti nel tuo regno che per lei preparasti. Perché tua è la potenza e la gloria nei secoli. Venga la grazia e passi questo mondo. Osanna alla casa di David.
(dalla Didaché, 9-10)
Lectio Divina:
domenica, 21 aprile, 2024
IV Domenica di Pasqua
Giornata di preghiera per le vocazioni
Gesù è il Buon Pastore
“Perché tutti abbiano vita e vita in abbondanza!”
Giovanni 10,11-18
1. Orazione iniziale
Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché ci aiuti a leggere la Scrittura con lo stesso sguardo, con il quale l'hai letta Tu per i discepoli sulla strada di Emmaus. Con la luce della Parola, scritta nella Bibbia, Tu li aiutasti a scoprire la presenza di Dio negli avvenimenti sconvolgenti della tua condanna e della tua morte. Così, la croce che sembrava essere la fine di ogni speranza, è apparsa loro come sorgente di vita e di risurrezione. Crea in noi il silenzio per ascoltare la tua voce nella creazione e nella Scrittura, negli avvenimenti e nelle persone, soprattutto nei poveri e sofferenti. La tua Parola ci orienti, affinché anche noi, come i due discepoli di Emmaus, possiamo sperimentare la forza della tua risurrezione e testimoniare agli altri che Tu sei vivo in mezzo a noi come fonte di fraternità, di giustizia e di pace. Questo noi chiediamo a Te, Gesù, figlio di Maria, che ci hai rivelato il Padre e inviato lo Spirito. Amen.
2. Lettura
a) Chiave di lettura:
Il Vangelo di questa 4ª Domenica di Pasqua ci riporta la parabola del Buon Pastore. Per questo, a volte, è chiamata Domenica del Buon Pastore. In alcune parrocchie si celebra la festa del parroco, pastore del gregge. Nel vangelo di oggi, Gesù si presenta come il Buon Pastore che venuto “perché tutti abbiano vita e vita in abbondanza” (Gv 10,10). In quel tempo, il pastore era l’immagine del leader. Gesù dice che molti si presentavano come pastori, ma in realtà erano “ladri e briganti”. Oggi succede la stessa cosa. Ci sono persone che si presentano come leaders, ma in realtà, invece di servire, cercano i loro propri interessi. Alcuni di loro hanno un modo di parlare così mansueto, e fanno una propaganda così intelligente da riuscire ad ingannare la gente. Hai mai fatto l’esperienza di essere stato ingannato? Quali sono i criteri per valutare una leadership sia a livello di comunità che di paese? Chi è, e come deve essere un buon pastore? Con queste domande nella mente cerchiamo di meditare il testo del vangelo di oggi. Nel corso della lettura cerchiamo di essere attenti alle immagini che Gesù usa per presentarsi alla gente come un vero e buon pastore.
b) Una divisione del testo per aiutarne la lettura:
Gv 10,11: Gesù si presenta come il Buon Pastore che dà la sua vita per le pecore
Gv 10,12-13: Gesù definisce l’atteggiamento del mercenario
Gv 10,14-15: Gesù si presenta come il Buon Pastore che conosce le sue pecore
Gv 10,16: Gesù definisce la meta da raggiungere: un solo gregge ed un solo pastore
Gv 10,17-18: Gesù e il Padre
c) Il testo:
11Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. 12Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; 13egli è un mercenario e non gli importa delle pecore. 14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, 15come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. 16E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore. 17Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. 18Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio».
3. Momento di silenzio orante
perché la Parola di Dio possa entrare in noi ed illuminare la nostra vita.
4. Alcune domande
per aiutarci nella meditazione e nella orazione.
a) Cosa ti ha maggiormente colpito nel testo del Buon Pastore? Perché?
b) Quali sono le immagini che Gesù applica a se stesso, come le applica e cosa significano?
c) Quante volte in questo testo, Gesù usa la parola vita e cosa afferma sulla vita?
d) Cosa dice il testo sulle pecore che siamo noi? Quali sono le qualità ed i compiti delle pecore?
e) Pastore-Pastorale. Sarà che le nostre pastorali continuano la missione di Gesù-Pastore?
5. Per coloro che desiderano approfondire maggiormente il testo
a) Contesto:
i) Il discorso di Gesù sul Buon Pastore (Gv 10,1-18) è come un mattone inserito in una parete già pronta. Con questo mattone la parete è più forte e più bella. Immediatamente prima, in Gv 9,40-41, il vangelo parlava della guarigione di un cieco nato (Gv 9,1-38) e della discussione di Gesù con i farisei sulla cecità (Gv 9,39-41). Immediatamente dopo in Gv 10,19-21, Giovanni colloca la conclusione della discussione di Gesù con i farisei sulla cecità. I farisei si presentavano al popolo in qualità di leaders e pensavano di essere in grado di poter discernere ed insegnare le cose di Dio. In realtà, loro erano ciechi (Gv 9,40-41) e disprezzavano l’opinione della gente rappresentata dal cieco fin dalla nascita che era stato guarito da Gesù (Gv 9,34). Il discorso sul Buon Pastore è stato inserito qui allo scopo di offrire alcuni criteri per saper discernere chi è il leader, il pastore che merita credito. La parabola realizza una parola che Gesù aveva appena detto ai farisei: “Gesù allora disse: «Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi!” (Gv 9,39)
ii) Il discorso di Gesù sul "Buon Pastore" presenta tre paragoni, legati tra di essi dall’immagine delle pecore, che offrono criteri per discernere chi è il vero pastore:
1° paragone (Gv 10,1-5): “Entrare per la porta”. Gesù distingue tra il pastore delle pecore e colui che assalta per rubare. Ciò che rivela chi è il pastore è il fatto che lui entra per la porta. Il brigante da un’altra parte.
2° paragone (Gv 10,6-10): “Io sono la porta”. Entrare per la porta significa agire come Gesù, la cui preoccupazione maggiore è la vita in abbondanza delle pecore. Ciò che rivela il pastore è la difesa della vita delle pecore.
3° paragone (Gv 10,11-18): “Io sono il buon pastore”. Gesù non è semplicemente un pastore. Lui è il Buon Pastore. Ciò che rivela chi è il Buon Pastore è (1) la conoscenza reciproca tra la pecora ed il pastore e (2) dare la vita per le pecore.
iii) In che modo la parabola del Buon Pastore può togliere la cecità ed aprire gli occhi delle persone? In quel tempo, l’immagine del pastore era il simbolo del leader. Ma non per il semplice fatto che qualcuno si occupi delle pecore può costui essere definito un pastore. Anche i mercenari contano. I farisei erano persone leaders. Ma erano anche pastori? Come vedremo, secondo la parabola, per discernere chi è pastore e chi è mercenario, bisogna fare attenzione a due cose:
(a) All’atteggiamento delle pecore davanti al pastore che le conduce, per vedere se riconoscono la sua voce.
(b) All’atteggiamento del pastore davanti alle pecore per vedere se il suo interesse è la vita delle pecore e se è capace di dare la vita per loro (Gv 10,11-18).
iv) Il testo del Vangelo di questa 4a domenica di Pasqua (Gv 10,11-18) è l’ultima parte del discorso sul Buon Pastore (Gv 10,1-18). Per questo vogliamo commentare tutto il testo. Osserviamo da vicino le diverse immagini di cui Gesù si serve per presentarsi a noi come il vero e buon pastore.
b) Commento del testo:
i) Gv 10,1-5: 1ª Immagine: il pastore "entra per la porta" Gesù inizia il discorso con un paragone sulla porta: “Chi non entra per la porta, ma sale da un’altra parte, è un ladro e assaltante! Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore!" Per capire questo paragone, è bene ricordare quanto segue. In quel tempo, i pastori curavano il gregge durante il giorno. Quando giungeva la notte, loro portavano le pecore in un grande recinto comunitario, ben protetto contro ladroni e lupi. Tutti i pastori di una stessa regione portavano lì il loro gregge. Un guardiano se ne occupava durante la notte. Il giorno dopo, al mattino presto, giungeva il pastore, batteva le mani sulla porta ed il guardiano apriva. Le pecore riconoscevano la voce del loro pastore, si alzavano e uscivano dietro a lui a pasteggiare. Le pecore degli altri pastori udivano la voce, ma non si movevano, poiché per loro era una voce sconosciuta. La pecora riconosce la voce del suo pastore. Ogni tanto, appariva il pericolo dell’assalto. Per rubare le pecore, i ladri non si presentavano al guardiano dalla porta, ma entravano da un altro lato o distruggevano il recinto, fatto di pietre una sull’altra.
ii) Gv. 10,6-10: 2ª Immagine: spiega cosa significa "entrare per la porta": Gesù è la porta. Coloro che stavano ascoltando Gesù, i farisei (cf. Gv 9,40-41), non capirono il paragone. Allora Gesù spiegò: "Io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti". Di chi sta parlando Gesù in questa frase così dura? Probabilmente, si sta riferendo ai leaders religiosi che trascinavano la gente dietro di loro, ma che non rispondevano alla speranza della gente. Ingannavano la gente, lasciandola peggio di prima. Non interessava loro il bene della gente, bensì il loro proprio interesse ed il proprio portafoglio. Gesù spiega che il criterio fondamentale per discernere chi è il pastore e chi è assaltante è la preoccupazione per la vita delle pecore. Chiede alla gente di non seguire colui che si presenta in qualità di pastore, ma non desidera la vita della gente. E’ qui che Gesù pronunciò quella frase che cantiamo fino ad oggi: “Sono venuto perché abbiano vita, e vita in abbondanza!" Questo è il primo criterio!
iii) Gv 10,11-16: 3ª Immagine: spiega ciò che significa “sono venuto perché abbiano vita in abbondanza" (Qui inizia il testo di questa quarta domenica di Pasqua)
* Gv 10,11: Gesù si presenta come il Buon Pastore che dà la sua vita per le pecore. Gesù cambia il paragone. Prima, lui era la porta delle pecore. Ora dice che è il pastore delle pecore. Non un pastore qualsiasi, bensì: "Io sono il buon pastore!" L’immagine del buon pastore viene dal Vecchio Testamento. Tutti sapevano ciò che era un pastore e come viveva e lavorava. Nel dire che è un Buon Pastore, Gesù si presenta come colui che viene a compiere le promesse dei profeti e le speranze della gente. Insiste su due punti:
(a) la difesa della vita delle pecore; il buon pastore dà la sua vita (Gv 10,11.15.17.18);
(b) nella reciproca comprensione tra il pastore e le pecore; il Pastore conosce le sue pecore e loro conoscono il pastore (Gv 10,4.14.16).
* Gv 10,12-13: Gesù definisce l’atteggiamento del mercenario che non è pastore. “Il mercenario che non è pastore”. Guardando dal di fuori, non si percepisce la differenza tra il mercenario ed il pastore. Tutti e due si occupano delle pecore. Oggi ci sono molte persone che si occupano di altre persone negli ospedali, nelle comunità, negli asili per anziani, nei collegi, nei servizi pubblici, nelle parrocchie. Alcuni lo fanno per amore, altri, appena per uno stipendio, per poter sopravvivere. A queste persone gli altri non interessano. Hanno un atteggiamento da funzionari, da stipendiati, da mercenari. Nel momento del pericolo, loro non si interessano, perché “le pecore non sono loro”, i bambini non sono loro, gli alunni non sono loro, i vicini non sono loro, i fedeli non sono loro, i malati non sono loro, i membri della comunità non sono loro. Ora, invece di giudicare il comportamento degli altri, mettiamoci davanti alla nostra propria coscienza e chiediamoci: “Nel mio rapporto con gli altri, sono mercenario o pastore?” Guarda che Gesù non ti condanna perché l’operaio ha diritto al suo stipendio (Lc 10,7), ma ti chiedi di dare un passo in più e diventare pastore.
* Gv 10,14-15: Gesù si presenta come il Buon Pastore che conosce le sue pecore Due cose caratterizzano il buon pastore:
a) conosce le pecore ed è conosciuto da loro. Nella lingua di Gesù, “conoscere” non é una questione di conoscere il nome o il volto della persona, ma di rapportarsi alla persona per amicizia, e per affetto.
b) dare la vita per le pecore. Ciò significa essere disposti a sacrificarsi per amore. Le pecore sentono e percepiscono, quando una persona le difende e le protegge.
Questo vale per tutti noi: per i parroci e per coloro che hanno qualche responsabilità verso altre persone. Per un parroco sapere se è buon pastore non basta con l’essere nominato parroco ed obbedire alle norme del diritto canonico. E’ necessario essere riconosciuto come buon pastore dalle pecore. A volte ciò viene dimenticato nell’attuale politica della Chiesa. Gesù dice che non solo il pastore riconosce le pecore, ma che anche le pecore riconoscono il pastore. Loro hanno criteri per questo. Perché se loro non lo riconoscono, pur anche se lui è nominato secondo il diritto canonico, lui non è pastore secondo il cuore di Gesù. Non sono solo le pecore che devono obbedire a chi le conduce. Anche colui che conduce deve essere molto attento alla reazione delle pecore per sapere se agisce come pastore o come mercenario.
* Gv 10,16: Gesù definisce la meta da raggiungere; un solo gregge, un solo pastore Gesù apre l’orizzonte e dice che ha altre pecore che non sono di questo gregge. Ancora non hanno udito la voce di Gesù, ma quando l’udiranno, si renderanno conto che lui è il pastore e lo seguiranno. Chi farà ciò, e quando avverrà? Siamo noi, imitando in tutto il comportamento di Gesù, Buon Pastore!
* Gv 10,17-18: Gesù è il Padre In questi due versetti finali Gesù si apre e ci lascia capire qualcosa che c’è nel più profondo del suo cuore: il suo rapporto con il Padre. Qui si percepisce la verità di quanto dice in un altro momento: “Non vi chiamo più servi, ma vi ho chiamati amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15). Gesù è per noi un libro aperto.
c) Ampliando l’informazione:
L’immagine del Pastore nel VT che si realizza in Gesù
i) In Palestina, la sopravvivenza della gente dipendeva dall’allevamento del bestiame: capre e pecore. L’immagine del pastore che guida le sue pecore nei pascoli era da tutti conosciuta, come oggi conosciamo l’immagine del conducente di autobus. Era normale usare l’immagine del pastore per indicare la funzione di colui che governava e conduceva il popolo. I profeti criticavano i re perché erano pastori che non si occupavano del loro gregge e non lo conducevano a pascolare (Jr 2,8; 10,21; 23,1-2). Questa critica dei cattivi pastori aumentò e giunse a un punto culminante quando per colpa dei re il popolo fu deportato in esilio (Ez 34,1-10; Zc 11,4-17).
ii) Di fronte alla frustrazione sofferta a causa dell’attuazione dei cattivi pastori, sorge il desiderio di avere Dio come pastore, desiderio così ben espresso nel salmo: "Il Signore è l mio pastore, non manco di nulla (Sl 23,1-6; Gn 48,15). I profeti sperano che, nel futuro, Dio stesso venga a guidare il suo gregge, come un pastore (Is 40,11; Ez 34,11-16). E sperano che questa volta la gente sappia riconoscere la voce del suo pastore: "Ascoltate oggi la sua voce!" (Sl 95,7). Sperano che Dio venga in qualità di Giudice che pronuncerà il giudizio tra le pecore del gregge (Ez 34,17). Sorgono il desiderio e la speranza che un giorno, Dio susciti buoni pastori e che il messia sia un buon pastore per il popolo di Dio (Jr 3,15; 23,4).
iii) Gesù realizza questa speranza e si presenta come il buon pastore, diverso dagli assaltanti che, prima di lui, avevano rubato al popolo. Si presenta anche come il Giudice del popolo che, alla fine, emetterà la sentenza come il pastore che separa le pecore dai capri (Mt 25,31-46). In Gesù si realizza la profezia di Zaccaria che dice che il buon pastore sarà perseguitato dai cattivi pastori, infastiditi dalla sua denuncia: “Percuoti il pastore e sia disperso il gregge!" (Zc 13,7).
iv) Al termine del vangelo di Giovanni, l’immagine si estende e Gesù finisce con essere tutto allo stesso tempo: porta (Gv 10,7), pastore (Gv 10,11) agnello e pecora (Gv 1,36)!
Una chiave per il vangelo di Giovanni
Tutti percepiscono la differenza che c’è tra il vangelo di Giovanni e gli altri tre vangeli di Matteo, Marco e Luca. Qualcuno la definisce così: Gli altri tre fanno una fotografia, Giovanni fa una radiografia. Ossia, Giovanni aiuta i suoi lettori a scoprire la dimensione più profonda che c’è in ciò che Gesù dice e fa. Rivela le cose nascoste che solamente i raggi X della fede riescono a scoprire e rivelare. Giovanni insegna a leggere gli altri vangeli con lo sguardo della fede ed a scoprire il significato più profondo. Gesù stesso aveva già detto che avrebbe mandato il dono del suo Spirito affinché potessimo capire tutta la pienezza delle sue parole (Gv 14,24-25; 16,12-13). Gli antichi Padri della Chiesa dicevano: il Vangelo di Giovanni è “spirituale” e “simbolico”. Alcuni esempi:
(a) Gesù cura il cieco nato (Gv 9,6-7). Per Giovanni questo miracolo ha un significato più profondo. Rivela che Gesù è la Luce del Mondo che ci fa comprendere e contemplare meglio le cose di Dio nella vita (Gv 9,39).
(b) Gesù risuscita Lazzaro (Gv 11,43-44) non solo per aiutare Lazzaro e consolare le due sorelle, Marta e Maria, ma anche per rivelare che lui è la Risurrezione e la vita (Gv 11,25-26).
(c) Gesù cambia 600 litri di acqua in vino nelle nozze di Cana (Gv 2,1-13). E lo fa non solo per salvare l’allegria della festa, ma anche e soprattutto per rivelare che la nuova Legge del Vangelo è come vino paragonato all’acqua della Legge precedente. E lo fa con tale abbondanza (600 litri!), proprio per significare che non mancherà per nessuno, fino ad oggi!
(d) Gesù moltiplica il pane ed alimenta gli affamati (Gv 6,11) non solo per saziare la fame di quella gente povera che stava con lui nel deserto, ma anche per rivelare che lui stesso è il pane di vita che alimenta tutti lungo la vita (Gv 6,34-58).
(e) Gesù conversa con la Samaritana sull’acqua (Gv 4,7.10), ma lui voleva che lei giungesse a scoprire l’acqua del dono di Dio che già portava dentro (Gv 4,13-14). In una parola, è lo Spirito di Gesù che dà vita (Gv 6,63). La carne o solo la lettera non bastano e possono perfino uccidere il senso e la vita (2 Cor 3,6).
6. Preghiera di un Salmo: Salmo 23 (22)
Il Signore è il mio pastore!
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca. Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni.
7. Orazione Finale
Signore Gesù, ti ringraziamo per la tua Parola che ci ha fatto vedere meglio la volontà del Padre. Fa che il tuo Spirito illumini le nostre azioni e ci comunichi la forza per eseguire quello che la Tua Parola ci ha fatto vedere. Fa che noi, come Maria, tua Madre, possiamo non solo ascoltare ma anche praticare la Parola. Tu che vivi e regni con il Padre nell'unità dello Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.